sabato 19 febbraio 2011

La città senza libri e i luoghi senza incontri (un nuovo intervento)


La riflessione fatta ieri da Marco Ciriello sull'edizione avellinese "Il Mattino" sembra abbia avviato una discussione sui libri e la loro fruizione nella nostra città. 
Riportiamo la replica pubblicata quest'oggi, realizzata da Bianca Maria Paladino.

La città senza libri e i luoghi senza incontri

Ho letto con piacere l’intervento di Marco Ciriello apparso su «Il Mattino» di Avellino di ieri e, poiché la lettura e i libri mi stanno molto a cuore, ho deciso di scrivere e dare il mio contributo, nella convinzione che partecipare a una riflessione su questo argomento costituisca ormai l’unico, o quasi, intervento civile e democratico che ci rimane come cittadini del mondo, così come pensavamo che fosse organizzato: fatto cioè di cose dotate di senso. Io non ho girato il mondo, ma anch’io ho cercato di andare altrove, eppure sono tornata qui. Naturalmente non mi sento al colmo della felicità in questa realtà, ma è indubbiamente quella che conosco meglio. Non posso negare che il mio viaggio sia partito da qui e, proprio qui ho trovato tanti libri e tante idee che, proprio sui libri mi hanno portato lontano e riportata a casa. Sono stati altri tempi, naturalmente, e a quei tempi i libri si ordinavano dal bancone del libraio. Non si potevano vedere, né toccare prima di comprarli. Allora bisognava conoscere i cataloghi degli editori per poter acquistare i libri e per ordinarli. Libri che peraltro venivano solo recensiti da addetti ai lavori in quotidiani e riviste e quasi mai presentati in trasmissioni televisive. In ogni caso questa città ha offerto, in un passato non tanto lontano, un’ampia scelta di libri e persino quelli più insoliti o poco pubblicizzati potevano essere abbastanza rapidamente acquistati. Questo per spiegare che non è colpa dei librai (l’editore Giuseppe Laterza, quando è stato qui nel 1999, mi ha chiamato l’amica dei librai) o almeno non solo se la città non ha più buone e belle librerie (dove buone e belle stanno per efficienti e ricche di offerte). Alcune vecchie librerie oggi non ci sono più; altre hanno dovuto modificare la loro struttura per adeguarla a un inutile mercato di menabò (una prova di libro con la sola copertina stampata e con le pagine bianche). Eppure la gente ha l’impressione che ci siano nuove librerie, e certamente ci sono, ma talvolta mancano i librai, che pure sembrano esserci. E allora? Chi pensava che la merce libro sfuggisse al mercato e agli effetti della globalizzazione, si sbagliava indubbiamente. Quale settore più dell’editoria è fatto di mediazione? Molti libri pubblicizzati non si trovano ad Avellino, ma neanche a Napoli o a Roma, perché non ne distribuiscono che due-tre copie al massimo (naturalmente mi riferisco ai saggi e non ai best-sellers) e inoltre molti editori mettono fuori catalogo alcuni titoli che sembravano destinati a non estinguersi mai. Nel 1995, Mario Vargas Llosa, su «Repubblica» scriveva un interessante articolo su New York e sull’America, nel quale diceva che di lì a breve i libri, anche quelli più di recente pubblicati, sarebbero diventati introvabili e le librerie sarebbero diventate negozi di antiquariato. È quello che accadrà anche da noi tra breve, ma non è colpa dei librai. Non hanno forza economica sufficiente per diventare antiquari.  Forse è veramente tempo di smetterla a gingillarsi negli eventi che non sanno che di eventi e dare spazio alle parole, alle idee, allo scambio delle opinioni e dei pareri e non solo all’acritico passa-parola. Ricordiamo tutti i tempi in cui in città non esistevano gli spazi pubblici e si facevano i concerti di Maurizio Pollini nella palestra del liceo «Colletta»; non esistevano teatri, ma venivano a parlarci direttori di orchestra e grandi musicisti come Claudio Abbado e Luigi Nono; non c’erano sale per conferenze, ma venivano a presentare libri Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano. Oggi siamo ridotti a fare presentazioni nelle scuole e nelle carceri per garantire un uditorio di una certa entità. È che molti non hanno più voglia di incontrarsi per parlare e confrontarsi con gli altri cittadini o non hanno più la voglia di insistere nell’attesa di un buon libro perché pensano che riceverlo in ritardo non ci consente di essere al passo con gli altri che lo hanno già letto, ma è come quando uno conosce una lingua e non ha argomenti di cui parlare. Allora, incontriamoci in libreria o nelle nostre case, rifiutiamo una città che non ci nega gli spazi magari, ma ci impedisce di incontrarci e sosteniamo le librerie incoraggiandole a chiedere per noi i libri. Nessun mercato negherà a lungo l’offerta in presenza di domanda.

Bianca Maria Paladino (da "Il Mattino" edizione Avellino - 19/02/2011)

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