venerdì 25 febbraio 2011

Far leggere, un mestiere contro tempo (il dibattito va avanti)

L'appassionato intervento del paesologo Franco Arminio, tiene vivo e allarga il dibattito su libri e librerie.


I librai fanno un mestiere difficile. Certa gente i libri non li compra neppure sotto tortura. Qualche tempo fa un signore benestante, ex preside, ex sindaco, ha preso un mio libro all’edicola e dopo che lo aveva letto lo ha restituito all’edicolante. Di recente una professoressa di liceo ha chiesto in prestito a mio figlio le mie «Cartoline dai morti» dicendogli che le servivano per fare una lezione nella sua classe. Mi sembrano due esempi emblematici: le prime persone che dovrebbero leggere i libri sono gli insegnanti, specialmente gli insegnanti di lettere, ma gli insegnanti di lettere quasi mai acquistano libri. Non sono un esperto del mercato editoriale e neppure delle problematiche che devono affrontare le librerie. A ciascuno il suo lavoro. Il mio in questo caso è quello di raccontare quello che vedo, senza elaborare teorie. Bisogna mettersi anche dalla parte dei mancati lettori. Mi viene da pensare che a volte ci hanno provato a comprare qualche libro e sono rimasti delusi e adesso coltivano un astio per chi scrive. Sicuramente c’è anche questo motivo, oltre alla atavica tirchieria della borghesia meridionale. Una tirchieria che è congenita anche negli esponenti della politica. Raramente mi è capitato di incrociare nelle librerie avellinesi uno dei tanti protagonisti della politica. Loro i libri li vogliono in regalo. In un contesto di questo tipo non me la sento di criticare i librai. Comunque, è bene che si parli anche di loro, come ha proposto Marco Ciriello sul «Mattino». Vendere libri qui è un mestiere difficile, perché leggere è uno sforzo che implica tempo, lentezza, pensiero. Credo che una delle vere difficoltà stia in questo: nel costante atteggiamento di sottrazione, di abdicazione dal pensiero e da ciò che può farlo scaturire. Leggere un libro è diventato un gesto complicato, come è complicato, e quasi impossibile, parlarne. Guai a tirar fuori discorsi sulla letteratura, guai a impegnarsi in colloqui più impegnativi. Tutto deve rimanere, casomai, all’interno delle presentazioni dove spesso il pubblico è presente per obbligo più che per vero interesse. La nostra è una provincia che si percepisce più povera di quello che è. E una percezione del genere non favorisce l’ingresso in libreria. Quando dico più povera non mi riferisco alla disponibilità economica, guardo anche alla povertà culturale in cui siamo convinti di vivere. Ci vediamo da sempre con gli occhi degli altri, occhi esterni, lontani, mai partecipi, mai accorti a ciò che questa terra produce. Il portafogli è vuoto e anche la testa non è che sia piena di curiosità per ciò che fanno gli scrittori. O forse bisognerebbe tirare in ballo il provincialismo che ci attanaglia, quello stesso che impedisce il riconoscimento dell’altro e del suo valore, a meno che questo riconoscimento non venga dall’esterno, dalle realtà urbane possibilmente. Chi scrive è chiamato a uno sforzo ulteriore: mettere in giro testi bellissimi, che dimostrino la fatica della scrittura e l’esposizione di chi la pratica. Testi folli o rivoluzionari, che non strizzano l’occhio, che non ammiccano. Testi anche pericolosi, che mettano in dubbio le certezze di un sistema ormai agonizzante. Questa forse è l’unica possibilità perché siano considerati meritevoli di acquisto da parte dei più generosi. 


Franco Armino, "Il Mattino" edizione Avellino 24/02/2011

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