domenica 22 maggio 2011

Giovanni Solimine e una discussione che ha fatto appassionare l'Irpinia che legge



Il dibattito di venerdì pomeriggio è stato affollato e ricco di stimoli. Per chi non è potuto esserci e ha un po' di tempo, proponiamo questa intervista realizzata al professor Solimine qualche ora prima del suo arrivo ad Avellino.

Giovanni Solimine con il suo lavoro ‘L’Italia che legge’ fa un’analisi sullo stato del rapporto, non idilliaco, tra i libri e gli italiani e prova a proporre delle soluzioni per migliorare la situazione.  In attesa di incontrarlo questo pomeriggio ad Avellino, abbiamo avuto questa conversazione sui temi del suo lavoro.
Professore, sul fronte della lettura il nostro paese può definirsi sviluppato?
“Purtroppo, devo dire che l’Italia non sembra un paese pienamente sviluppato: sia dal punto di vista della lettura nel tempo libero sia dal punto di vista della lettura per motivi professionali e di studio facciamo registrare dati notevolmente inferiori alla media europea, assolutamente non paragonabili con i nostri livelli di reddito e di sviluppo socio-economico. Ciò non riguarda solo la lettura, ma tutte le attività culturali, alle quali gli italiani partecipano meno di quanto non accada in altre nazioni europee. Credo che questo fenomeno si possa spiegare con il basso numero di laureati e diplomati, anch’esso inferiore a quello di paesi come la Francia, la Germania o il Regno Unito. Del resto, le statistiche internazionali ci dicono anche che, a causa di una scarsa consuetudine con la parola scritta, quasi il 70% degli italiani – compresi, quindi, coloro che hanno conseguito un titolo di studio – è affetto da un analfabetismo funzionale che rende difficile per molti dei nostri connazionali la comprensione di un testo scritto o la compilazione di un modulo”.
...questo cosa comporta a suo avviso?
“Il ritardato sviluppo culturale ha conseguenze sulla competitività, ma anche sui livelli di integrazione nella vita della società: nei paesi dove si legge di più, ad esempio, i tassi di criminalità sono inferiori, il rispetto dei diritti delle donne e dei bambini è più elevato e così via. Possiamo dire che la lettura e la cultura hanno una ricaduta positiva sul benessere complessivo dei cittadini, e non solo sulle potenzialità di crescita economica e sulla vita della comunità nazionale”.
Dai dati che riporta nel suo volume sembra che i diversi livelli di lettura rispecchiano fratture non solo culturali ma anche sociali, economiche e geografiche presenti nel paese. Si può parlare di una irrisolta ‘questione meridionale’ anche da questo punto di vista?
“Come dicevo poc’anzi c’è una correlazione forte tra i livelli di lettura e la vita sociale. Non dobbiamo sorprenderci, dunque, se l’Italia risulta attraversata da fratture profonde e se, a 150 anni dall’unificazione nazionale, le differenze siano ancora molto forti. Se la media nazionale dice che il 46,8% degli italiani legge almeno un libro all’anno, va detto che circa 20 punti percentuali separano il nord dal sud: nelle regioni settentrionali si legge quanto nel resto dell’Europa più avanzata, mentre nel Mezzogiorno i livelli sono quelli della Grecia, di Malta, della Bulgaria”.  
Anche in questo campo c’è un evidente divario …
“Sì, ed è evidente che un tale divario va assolutamente colmato. Il costo dell’ignoranza non è più sostenibile per il nostro paese e rischia di allontanarci ulteriormente dagli obiettivi della strategia Europa 2020 che la Commissione Europea ha individuato come vie per uscire dalla crisi e per affrontare le sfide del prossimo decennio attraverso una ‘crescita intelligente’ fondata sulla conoscenza, l'innovazione, l'istruzione e la società digitale”.
Cosa c’è alla base di questo gap?
“Per poter leggere, i cittadini hanno bisogno di incontrare i libri sul loro cammino. Purtroppo metà delle librerie e delle biblioteche sono concentrate nell’Italia settentrionale e tanti comuni meridionali, anche di medie dimensioni, sono privi di librerie ben fornite o di biblioteche di base. Domanda e offerta divengono in questo caso due elementi che si influenzano negativamente. Per questo motivo i servizi pubblici possono esercitare una funzione promozionale importante. Invece, va detto che, al di là del dato numerico, nelle regioni meridionali le biblioteche sono poche, piccole, con orari di apertura assai limitati, con bilanci modesti che impediscono un aggiornamento costante delle raccolte e che quindi non consente di rappresentare la produzione editoriale”.
Sono individuabili delle responsabilità?
“Si può individuare una precisa responsabilità nelle amministrazioni locali: in primo luogo nei Comuni e nelle Province, cui spetta il compito di erogare i servizi ai cittadini, ma anche nelle Regioni, che hanno competenze importanti in questo settore. È doloroso dover constatare, a quarant’anni dall’istituzione delle Regioni, che il divario tra nord e sud in ambito bibliotecario si è allargato invece che ridursi!”.
Partire da livelli più bassi può, paradossalmente, essere un vantaggio nel concepire una politica della lettura?
“Potremmo consolarci pensando che esistono ampi margini di miglioramento e che possiamo far tesoro delle esperienze che in altri territori hanno dato buoni risultati.
Purtroppo, devo dire che non è per niente facile smuovere le acque nelle situazioni più arretrate. Bisognerebbe mobilitare tutte le energie e valorizzare il contributo di tutti: bibliotecari, insegnanti, librai, operatori culturali hanno un interesse comune nell’allargamento delle basi sociali della lettura e su questo obiettivo principale dovrebbero convergere e collaborare, cercando di stimolare le politiche delle amministrazioni locali”.
Tra tante differenziazioni, emerge un dato particolarmente interessante, che i giovani – contrariamente a consolidati luoghi comuni – hanno un ottimo feeling con la lettura e l’intrattenimento culturale.  
“A volte si sentono frasi come ‘Ai miei tempi si leggeva di più’. È assolutamente falso: i ragazzi leggono molto più degli adulti e più dei ragazzi delle generazioni precedenti, con punte del 65-70% nella fascia d’età fra gli 11 e i 14 anni. Credo che abbiamo la percezione che i giovani leggano poco perché li vediamo fare molte altre cose: ascoltano musica, navigano in rete, usano tutte le funzioni dei cellulari. Dovremo capire che i loro comportamenti sono diversi da quelli di chi è meno giovane: fanno molte cose e molte cose contemporaneamente. E i dati ci dimostrano anche che i diversi consumi culturali non sono in concorrenza tra loro. Anzi, possiamo dire che la vera differenza è tra chi fa poche cose e che ha una ‘dieta mediatica’ ricca e variegata: i lettori forti vanno il cinema più della media degli italiani, usano il computer, sono persone attive e dinamiche”.
Si può essere ottimisti o c’è qualcosa che non va, se invece, una volta adulti, si legge poco?
“L’allontanamento dal libro e della lettura che si manifesta negli anni successivi all’adolescenza credo sia in parte dovuto al sopraggiungere di altri interessi, ma che sia anche imputabile, almeno in parte, al modo in cui la scuola cerca di promuovere la lettura, spesso non lasciando liberi i ragazzi di scegliere i libri da leggere o costringendoli a una verifica, se non proprio a una valutazione, su ciò che si è letto. Mi sembrano molto più efficaci alcune attività di promozione negli anni della primissima infanzia, prima ancora che il bambino impari a leggere: se c’è consuetudine con la lettura, se il libro diviene un oggetto familiare è più probabile che si conservi questa abitudine durante tutto l’arco della vita, molto di più che se la lettura viene assimilata alle attività scolastiche”.   

Un altro aspetto interessante  riguarda i diversi livelli di lettura. Lettori deboli, lettori forti, lettori medi, tanto per abbozzare una sintesi…     
“Il mondo dei lettori è molto variegato: quasi la metà degli italiani che leggono si limita a leggere da 1 a 3 libri all’anno e ha un rapporto debole, a volte intermittente, con la lettura; una sparuta pattuglia di lettori forti, circa 4 milioni di italiani, da soli acquista circa la metà dei libri che si vendono in Italia. Ci sono poi quelli che l’Istat definisce ‘lettori morbidi’, che non si definiscono lettori, ma che utilizzano qualche libro per soddisfare esigenze pratiche (ricette di cucina, guide turistiche, ecc.): in questa categoria, però, troviamo anche alcuni lettori di libri gialli o di fantascienza o romanzi rosa, che evidentemente hanno una visione della cultura ‘alta”’ alla quale ritengono di non appartenere, considerandosi lettori di serie B ed è questo il motivo per cui durante l’intervista non si qualificano come lettori. Mi sembra un indizio interessante: evidentemente, c’è ancora una difficoltà a varcare la soglia della cultura”.
C’è bisogno di approcci diversi per i diversi tipi di ‘cittadini-lettori’?
“Ciascuno di questi segmenti dell’universo dei lettori richiede politiche promozionali mirate e offerte adeguate. Spesso, invece, ho la sensazione che le iniziative, specie alcuni eventi spettacolari come i festival letterari, si rivolgano sempre e soltanto a chi è già lettore, con il risultato di riuscire forse a incrementare le vendite, ma senza riuscire ad ampliare in alcun modo il perimetro della lettura in Italia, che ritengo debba essere l’obiettivo prioritario. Un’altra strada da percorrere con determinazione credo sia quella di consolidare il rapporto con il libro da parte dei lettori deboli e medi”.
In tempi di scarsità di risorse, quale può essere il ruolo delle istituzioni, sia a livello locale che centrale?
“Non è facile, di questi tempi, individuare una strategia.
Credo che a livello centrale si debba facilitare il lavoro di chi opera in quest’ambito, mentre il grosso del lavoro va fatto sul territorio, a livello locale. Sarebbe necessario che le istituzioni capissero che gli interventi in questo settore hanno una valenza infrastrutturale e non si sta parlando solo di libri e di lettura, ma di uno dei modi attraverso i quali i cittadini possono maturare le competenze indispensabili per acquisire criticamente le informazioni necessarie per esercitare i propri diritti di cittadinanza in una società che voglia essere realmente inclusiva”.
E i cittadini che ruolo possono avere in tal senso?
“Le istituzioni da sole non riusciranno a centrare l’obiettivo se non faranno leva sulle straordinarie capacità che il mondo dell’associazionismo e del volontariato sta manifestando. Ciò è ancora più importante nelle regioni meridionali, dove da tempo questi organismi esercitano una funzione di supplenza rispetto alla troppo debole iniziativa degli Enti locali”.

da "Ottopagine- quotidiano dell'Irpinia" - 20 maggio 2011


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