lunedì 23 gennaio 2012

La lezione di Aldo Masullo: senza relazione non c'è cultura


Fonte: napolionline.org

Assente più che giustificato all'ultimo incontro del nostra 'Banda di idioti', Antonio sabato pomeriggio è stato infatti nella vicina Atripalda per ascoltare il filosofo Aldo Masullo, che in occasione della Fiera del Libro organizzata dell'editore Il Papavero in collaborazione con le amministrazioni comunali di Atripalda, Mercogliano e Monteforte Irpino, ha partecipato ad un dibattito dal titolo "Avellino ultima provincia in Italia per libri acquistati'.
Antonio ha gentilmente voluto condividere con noi alcune sue riflessioni scaturite dopo aver assistito all'incontro;  le condividiamo in gran parte, convinti che l'ambizione coltivata dal nostro Presidio del Libro sia, nel suo piccolo, quella di una cultura davvero tra le persone e per le persone.

Cos’è la Cultura senza la Relazione, senza quella ‘e’ che come una linea tracciata tra due punti
viaggia, unisce, crea la distanza, il non luogo della conoscenza?
Quali sono gli strumenti culturali a nostra disposizione, e che differenza c’è tra Comunicazione e Relazione?
Queste sono le domande e le considerazioni che il filosofo Masullo, ospite d’onore della fiera del libro tenutasi ad Atripalda  dal 19 al 21 Gennaio, ha suscitato in me.
Domande a cui forse non  è possibile dare risposte univoche (dal latino unus e vocus)  – ma, d’altra parte, i grandi quesiti cercano soluzioni corali –   perché prima ancora che sulla cultura ci interrogano sul nostro essere-uomini.
 L’uomo è un animale desiderante e, checché ne dicano i moralisti, non è il desiderio a renderci talvolta delle bestie;  nel desiderare scopriamo la nostra tensione verso l’esterno, il sogno del mondo... Spesso,  il desiderio è stato accostato all’istinto, ma, come si può ben capire, è in realtà  la prima forma di astrazione, una prima estasi, uno sconfinamento oltre il cieco bisogno e la cieca necessità.
 Ma il desiderio è una dote naturale o impariamo a desiderare?
L’impossibilità di dare una risposta non ci invita ad abdicare in favore dell’agnosticismo, forse, in certi casi, lo smarcamento non è una fuga ma uno strumento di ricerca. E smarcarndoci vediamo che non si può desiderare ciò che non è stato ancora  pensato,  e che  pensare è inevitabilmente un pensare-a-qualcosa, un’altra cosa ( persino se pensassi a me stesso starei pensando ad  un altro!). Dunque il desiderio e il pensiero non ci sarebbero se non ci fosse la relazione, appunto l’altro a cui pensare.
 E qui si arriva alla Cultura. Come ha precisato Masullo, il termine deriva dal verbo latino ‘colere’, che significa sia coltivare sia cogliere, ma ha anche molto a che fare con il concetto di Cura. Non a caso il filosofo in uno dei suoi passaggi, durante l’incontro, ha esplicitamente detto: “ La cultura è la prima cura che l’uomo deve avere di sé”.
La Cultura è trina, ha un significato passivo (cogliere, recepire), attivo (coltivare, aver cura di) e persino riflessivo, se ci riferiamo alla “cura di sé” di cui ha parlato Masullo.
Questa triplicità è perfettamente riscontrabile nella Relazione: sarebbe, infatti, impensabile una relazione che non implicasse tali “diatesi”.
Una volta stabilito lo stretto nesso tra Cultura e Relazione, passiamo al secondo punto: gli strumenti e i supporti culturali.
 Sicuramente la scrittura è il più grande strumento culturale che l’umanità ha a sua disposizione per immortalarsi nel tempo. I supporti su cui si è scritto – dalle incisioni sulla roccia alla pergamena, dalle tavolette di cera alla pagina virtuale di Word – sono stati molteplici.
 Dall’invenzione della stampa ad oggi, parlare di cultura ha significato parlare del libro: un oggetto affascinante – e per quel che mi riguarda insostituibile – che, a quanto pare, le nuove tecnologie, i nuovi strumenti e i nuovi supporti stanno relegando ai margini del “commercio culturale”, cioè dello scambio, del modo in cui viene trasmesso il sapere.
In una società come la nostra – che potremmo definire  “il regno dei mezzi, o dei media”–  così informata, ipercomunicante, satura di parole, di scritture, di linguaggi, emerge il paradosso della solitudine, della mancanza di relazione. Appare chiaro quanto oggi  il nostro comunicare sia spesso un’azione autistica, senza sbocchi che portino all’altro, che è il destinatario e depositario della nostra esistenza. Per sfuggire alla minaccia dell’atomizzazione bisogna rendersi conto che, come direbbe Fichte,  “l’uomo si fa uomo tra gli uomini”, e non tra le macchine. Bisogna, in ultima analisi, abitare la congiunzione, lo spazio nomade dello sconfinamento verso l’altro.

ANTONIO VITTORIO GUARINO

Nessun commento:

Posta un commento